In tema di fatti non contestati e cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS).

La Corte d’appello di Roma ha reso un’interessante sentenza che affronta i temi del valore probatorio della mancata contestazione dei fatti allegati dal ricorrente e dell’ambito di discrezionalità del datore di lavoro nella scelta dei lavoratori dal assoggettare a Cassa integrazione guadagni straordinaria.

Sul primo argomento, la Corte afferma: «se è vero che, nell’ambito del processo del lavoro le parti concorrono a delineare la materia controversa, di talché la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto rende inutile provare il fatto stesso perché lo rende incontroverso, è principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità che la mancata contestazione da parte del convenuto può determinare dette conseguenze solo quando i dati fattuali, interessanti sotto diversi profili la domanda attrice, siano tutti esplicitati in modo esaustivo in ricorso (o perché fondativi del diritto fatto valere in giudizio o perché rivolti a introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria), non potendo. il convenuto, contestare ciò che non è stato detto. Il rito del lavoro si connota, infatti, per una circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, che non consente di contestare o richiedere prova -oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non allegati nonché su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo (ex plurimis Cass. SS.UU. 1 1353/2004)».

Sul secondo tema, la Corte stabilisce che, quando «nei casi quali quello in esame, il lavoratore che propone l’impugnativa abbia succintamente allegato i fatti costitutivi della pretesa azionata, grava sul datore di lavoro l’onere di provare il nesso di causalità tra la sospensione del singolo lavoratore e le ragioni per le quali la legge gli riconosce il potere di sospensione e di provare le circostanze di fatto poste a base dell’applicazione dei criteri di scelta (Cass. 16629 del 08/08/2005, 6686/2002). La *** aveva indicato in maniera puntuale le ragioni della impugnazione del provvedimento di collocamento in CIGS (mancata comunicazione delle ragioni del suo collocamento in CIGS, mancata applicazione della rotazione prevista dagli accordi sindacali). A fronte di siffatte allegazioni la società si è limitata a ricostruire il contesto nel quale maturò l’accordo sindacale del 2003 ma non ha chiarito quali fossero i criteri di scelta adottati e non ha negato ma, al contrario, ha confermato che il personale sarebbe stato sospeso secondo un sistema di rotazione trimestrale; ha eccepito la genericità della censura formulata nel ricorso in punto di congruità causale tra le cause legittimanti il ricorso alla CIGS e la sospensione della *** ma non ha esplicitato alcuna argomentazione in ordine alla sussistenza di un nesso causale tra il ricorso alla CIGS e la sospensione della ricorrente; non ha articolato chiari, puntuali specifici mezzi di prova a conforto della legittimità del suo operato. (…). Ciò posto osserva la Corte che il riferimento alle esigenze tecnico produttive derivanti dalle attività eseguibili e dalle professionalità impiegabili costituisce un criterio assolutamente generico, inidoneo a consentire la compiuta identificazione dei lavoratori da sospendere. Né esso risulta in concreto suscettibile di specificazione mediante il richiamo alle attività eseguibili e alle professionalità impiegabili formulato nell’accordo in esame; questo non contiene alcun riferimento alle specifiche professionalità da considerarsi temporaneamente eccedenti alla luce del programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale in funzione del quale veniva richiesta la CIGS . In conclusione, la CIGS nei confronti dellla originaria ricorrente risulta illegittima sotto il duplice profilo della inidoneità dei criteri concordati ad operare la selezione dei lavoratori e a consentire la verifica della correttezza del potere di scelta datoriale e della mancata adozione di meccanismi di rotazione».

Corte d’apppello di Roma, Sez. lavoro, 18 febbraio 2010 n. 7078, in motivazione.