Nel luglio del 2012 avevamo salutato come un (timido) cenno di modernizzazione della disastrata macchina giudiziaria italiana l’accorpamento di alcune sedi giudiziarie e la chiusura delle sezioni distaccate di tribunali e uffici del giudice di pace.
A pochi mesi di distanza dall’entrata in vigore delle norme (e dalla conseguente chiusura delle sedi indicate dal ministero), un manipolo assolutamente bipartisan di parlamentari ha sostanzialmente affossato la riforma, rinviandone l’applicazione a data da destinarsi.
Secondo la migliore tradizione nazionale italiana, la conservazione non ha colore politico e la geografia giudiziaria resta dunque quella disegnata ai tempi del papa re: con buona pace dei tonitruanti proclami sulla necessità di migliorare il sistema giudiziario, proclami che ogni parte politica solleva evidentemente ad esclusivi uso e consumo di telecamere e carta stampata.
Come sempre, è passato il principio dell’assoluto privilegio degli insider: le università sono dei professori, gli ospedali dei medici e — ça va sans dire — i tribunali sono di avvocati e giudici. I cittadini (anzi, i sudditi del papa re) si mettano l’animo in pace, e ripassino fra un paio di secoli.