Questa è la storia di un comune cittadino che con la sua caparbietà è riuscito a cambiare 2.500 anni di storia del diritto. Una rivoluzione che ora avrà conseguenze importanti sulla vita di tutti noi. Una vicenda talmente incredibile che merita la pena di iniziare con “C’era una volta”, come si fa con le favole. Bene: c’era una volta un signore brianzolo che attraversava un periodo di difficoltà economica, al punto che la sua banca aveva dovuto inviargli dei solleciti di pagamento. Ma sappiamo cosa accade in circostanze simili: i grattacapi lavorativi e personali prendono il sopravvento e molte comunicazioni importanti vengono sottovalutate, quando non vanno addirittura perse per i più svariati motivi (disservizi postali, trasferimenti repentini o altro). Finché si arriva al decreto ingiuntivo: a questo punto era fondamentale focalizzarsi su quanto stava accadendo e prendere una posizione netta. Ma ancora una volta, il nostro amico si lascia distrarre dai suoi guai quotidiani, commettendo un errore fatale: senza un’opposizione, il decreto ingiuntivo notificato da una banca o da una finanziaria è sempre stato considerato l’equivalente a una sentenza di condanna definitiva (o “passata in giudicato”). Si tratta dell’applicazione di un principio del diritto romano, per cui una sentenza passata in giudicato diventa “intangibile”, ovvero “intoccabile”. Un principio che è rimasto valido per ben 2500 anni. Per darvi l’idea: quando Roma e Cartagine scatenavano la prima guerra punica (280 a.C.) questo principio era già valido.
Generazioni e generazioni di giuristi sono stati allevati con la frase “Il giudicato trasforma il bianco in nero, il tondo in quadrato, il sole in luna”. Come dire: a questo punto della storia il dado è tratto, non possiamo tirarla avanti in eterno. Se avevi qualcosa da dire, dovevi farlo prima. Peccato però che la differenza tra “prima” e “dopo” in questi casi è ben chiara solo a una delle parti: quella con un ufficio legale interno. Ovvero, la banca. Che infatti, non avendo ricevuto risposta al decreto ingiuntivo, procede a pignorare lo stipendio al malcapitato. Che solo a quel punto si risveglia dal torpore: prova a reagire, ma le strade legali sono sbarrate.
Era lecito per la banca agire così? Ebbene, sì, era nel suo pieno diritto, proprio per le ragioni esposte sopra. Non solo: ci è capitato di vedere anche casi peggiori in cui, nel decreto ingiuntivo, viene annunciato il pignoramento dello stipendio con tassi di interesse da usura. O addirittura casi in cui il decreto ingiuntivo riporta una cifra dovuta per intero, quando in realtà erano già state pagate rate a parziale compensazione; ebbene, se non ci si oppone facendo presenti le cifre già versate, è come se non fossero mai esistite e ci si trova a dover pagare nuovamente l’importo pieno. Questa situazione si ripresenta molto spesso quando subentra una cessione del credito a una società terza (altra banca, per esempio nei casi di surroga del mutuo, oppure società private di riscossione) e nella catena si perdono (quando non si occultano…) informazioni preziose.
Una brutta situazione in cui molte persone si ritrovano loro malgrado, semplicemente per comprensibile ignoranza delle procedure giuridiche. L’unica cosa che restava da fare al nostro amico, quindi, era pagare. Ma lui non si arrende: il principio su cui la legge si basa avrà anche più anni del Colosseo, ma ai suoi occhi resta iniquo perché non tiene conto che le due parti contendenti (banca e cliente debitore) sono scompensate. Decide quindi di percorrere l’unica strada possibile: quella di rivolgersi comunque al Tribunale, il quale solleva la questione di fronte alla Corte di Giustizia Europea. E scopre di non essere solo: un caso simile al suo è stato sollevato da un altro giudice. La Corte di Giustizia riunisce i due casi nel 2019 e, superati i rallentamenti pandemici, il 17 maggio 2022 pronuncia la sentenza: il decreto ingiuntivo emesso nei confronti di un consumatore non è efficace se non contiene l’esplicita valutazione da parte del giudice dei diritti del consumatore. Quindi il consumatore può “ribellarsi” alla pretesa ingiusta anche se contro il decreto ingiuntivo non è stata a suo tempo proposta opposizione nei termini e addirittura durante le procedure di pignoramento attivate dal creditore.
La decisione della Corte Europea è del maggio 2022 ma nei giorni scorsi, quindi ai primi di aprile 2023, si sono pronunciate in merito sia la Corte di cassazione francese sia la Corte di cassazione italiana (a sezioni unite: sentenza 9479/2023): questo conferma l’immediata applicabilità del principio.
Quindi, in breve: se avete ricevuto un decreto ingiuntivo da una banca o finanziaria e i tempi per presentare opposizione sono scaduti, sappiate che non tutto è perduto. Se prima dovevate per forza pagare, oggi avete ancora la possibilità di far valere le vostre ragioni. E questo in virtù del fatto che ora la legge vi riconosce come una parte più bisognosa di tutela rispetto al vostro creditore.
Si tratta di una notizia dirompente perché riapre i termini per proporre opposizione verso banche e finanziarie per tutti i debitori, anche coloro che erano inermi di fronte a un decreto ingiuntivo definitivo, spesso oberato da interessi esorbitanti. Insomma, per dirla come i romani: il tondo non diventa immediatamente quadrato solo perché un pezzo di carta ha stabilito così. Prima ci vuole la mediazione di un giudice che valuti la “trasformazione” tenendo conto anche dei diritti del consumatore in quanto parte più debole rispetto al “professionista” (banca o ente creditizio in generale).
La svolta è davvero epocale e prova che nel diritto non esistono verità “calate dall’alto”, ma solo una continua evoluzione. Sicuramente nell’applicazione di questo principio non mancheranno tecnicismi in grado di farci venire il mal di testa, ma ormai il Rubicone è passato e si apre una nuova era.
Vorreste saperne di più e magari capire se questo “terremoto” può cambiare favorevolmente la vostra posizione debitoria? Contattateci: la valutazione della situazione e delle azioni da intraprendere è sempre gratuita e senza impegno.