nuova vittoria per morbinati e longo

Gli negano lo status di rifugiato ma la Cassazione accoglie il ricorso: nuova vittoria di Morbinati & Longo

A fine agosto il nostro studio ha ottenuto una vittoria in Cassazione di cui siamo fieri, poiché riguarda un ambito a cui teniamo molto: la protezione internazionale dei rifugiati.

Chi ci segue da tempo sa che la nostra attività si concentra soprattutto in ambito civile. Ma da molti anni seguiamo anche cause pro bono a sostegno di immigrati che si vedono negare lo status di rifugiato, spesso per un banale intoppo burocratico. Un percorso che portiamo avanti grazie alla collaborazione con associazioni e gruppi di solidarietà.

Ricordiamo che “rifugiato” non è un’etichetta giornalistica ma uno status giuridico riconosciuto a livello internazionale: un riconoscimento che tutela tutte le persone che hanno dovuto abbandonare le proprie case, spesso in circostanze drammatiche, in quanto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o per l’appartenenza a determinati gruppi sociali. La nascita di questo status risale alla Convenziona di Ginevra del 1951, che specifica quali sono i diritti di questi migranti forzati e gli obblighi legali con cui i 144 Stati contraenti si impegnavano a proteggerli. Il principio-guida di tutti questi obblighi è il cosiddetto non-refoulement, secondo cui nessun rifugiato può essere respinto verso un Paese in cui la propria vita o libertà potrebbero essere seriamente minacciate. Una vera e propria pietra miliare nel diritto internazionale consuetudinario. 

L’Italia aderisce alla Convenzione di Ginevra del 1951 e quindi riconosce lo status di rifugiato. Ma ci sono 3 dettagli a cui dobbiamo fare attenzione:

1- per essere dichiarati “rifugiati” non è sufficiente che nel paese di origine siano soppresse o minacciate alcune libertà fondamentali: il singolo individuo deve poter dimostrare di aver subito personalmente atti persecutori;

2- l’ottenimento dello status di rifugiato è il presupposto indispensabile per ottenere diritto d’asilo, ma questo passaggio non è per nulla automatico, né scontato. Anzi. Chiariamo: il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla Costituzione Italiana. L’articolo 10, terzo comma, della Costituzione recita infatti: “lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Ma questa è la teoria: la pratica, come al solito, è molto più fumosa. In Italia manca ancora una legge organica che disciplina l’iter per farsi riconoscere come “rifugiati”. I testi a cui si fa riferimento sul piano del diritto interno sono la Legge Martelli, con tutte le sue successive integrazioni, la ben nota Legge Bossi-Fini (n. 189/2002) e ovviamente gli accordi di Dublino, che disciplinano la questione nell’ambito delle relazioni tra i Paesi membri (ad esempio per il riconoscimento dello status di rifugiato ottenuto in un altro Paese UE). Tuttavia, la giurisprudenza italiana ha stabilito la possibilità di riconoscere il diritto di asilo allo straniero anche in assenza di una disciplina apposita (Cassazione, 1997: “secondo l’opinione attualmente pressoché pacifica l’art. 10, terzo comma, Cost. attribuisce direttamente allo straniero il quale si trovi nella situazione descritta da tale norma un vero e proprio diritto soggettivo all’ottenimento dell’asilo, anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso, specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento”.) 

3- avrete notato che tra i “motivi” delle persecuzioni manca l’esplicito richiamo al genere, all’orientamento e all’identità sessuale, che vengono generalmente fatte rientrare nell’ “appartenenza a determinati gruppi sociali”. 

Fatte queste necessarie premesse, veniamo al caso che abbiamo seguito. Il protagonista è un cittadino marocchino che aveva presentato domanda di protezione per ragioni di orientamento sessuale. La richiesta era stata respinta dal giudice di Agrigento senza espletare nessuna attività istruttoria sulla circostanza (tradotto: senza neanche ascoltare un testimone). Abbiamo quindi presentato un ricorso in Cassazione basandoci proprio sui principi cardine già stabiliti dalla giurisprudenza italiana. A fine agosto, la vittoria: la Cassazione ha riconosciuto la nullità della decisione del giudice di Agrigento e ha imposto la rivalutazione del caso.

Siamo fieri del risultato ottenuto: si può essere d’accordo o meno con una sentenza, ma chi bussa alla porta di un tribunale deve poter contare sulla certezza che verrà ascoltato, indipendentemente dalla sua provenienza, età, etnia, nazionalità, genere, orientamento sessuale, eccetera. Altrimenti cosa scriviamo a fare “la legge è uguale per tutti” nelle aule del tribunale? La burocratizzazione della giustizia è una minaccia subdola che corrode le istituzioni democratiche. Contrastarla, oltre che un diritto, è un dovere della società civile.